Romani 11, 36
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Re: Romani 11, 36
Con strani salti e improbabili agganci biblici, la teologia cosiddetta cristiana (del tutto posteriore al tempo di Giovanni) identifica il lògos in “Gesù” collegandolo alla sapienza di Dio. Nella diversa interpretazione di Gv 1:1c (“La parola era Dio”) i trinitari giungono all’equivalenza «“Gesù” = Dio», mentre i Testimoni di Geova approdano alla monolatria: «la parola = un dio».
La sapienza – in ebraico khochmàh (חָכְמָה) e il greco sofìa (σοφία) – era per gli ebrei l’abilità di una persona in un campo specifico. Così, gli ebrei parlavano di un muratore saggio o di un carpentiere saggio. “Saggio” era anche chi sapeva dirigere bene la propria vita e i propri affari in modo che tutto potesse procedere magnificamente. Come si nota, questo è un concetto pratico. Per gli ebrei, che non amavano le astrazioni, tutto era pratico. Il concetto biblico di khokmàh – “sapienza” – era dunque un concetto concreto che nulla ha a che vedere con la filosofia e che va ben al di là della conoscenza e dell’intendimento mentali.
Che Yeshùa fosse una persona sapiente è indubbio. Le persone ne erano stupefatte, tanto che mentre un sabato insegnava in una sinagoga “si stupivano e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? Che sapienza [σοφία (sofìa)] è questa che gli è data?»” (Mr 6:2, NR). Quando una volta Yeshùa “salì al tempio e si mise a insegnare”, “i Giudei si meravigliavano e dicevano: «Come mai conosce così bene le Scritture senza aver fatto studi?». Gesù rispose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato»” (Gv 7:14-16, NR). Non stupisce quindi che Paolo affermi che Yeshùa “da Dio è stato fatto per noi sapienza [σοφία (sofìa)]”. - 1Cor 1:30, ND.
Da qui a sostenere che la sapienza personifica nel libro biblico di Proverbi sia Yeshùa preumano ce ne corre.
In Pr 8 la khochmàh, la “sapienza”, che in ebraico è femminile come nel greco sofìa e in italiano, viene personificata in una donna che “sta in piedi in cima ai luoghi più elevati, sulla strada, agli incroci” e “grida presso le porte della città, all'ingresso, negli androni” (vv. 2 e 3), chimamdo a sé le persone e invitandole ad imparare da lei (vv. 4-10), “perché buona è la sapienza [כִּי־טֹובָה חָכְמָה (ki-tovàh khochmàh); sofìa (σοφία), nella LXX], vale più delle perle e tutte le preziosità non la eguagiano” (v 11, traduzione diretta dall’ebraico). Al capitolo successivo, in Pr 9, la sapienza continua ad agire
come una donna assennata e ospitale: “La Sapienza ha costruito la sua casa … Ha ucciso animali, ha procurato il vino, ha già preparato la sua tavola. Ha mandato le sue serve a fare gli inviti dai punti più alti della città. Esse gridano: «Venite, gente inesperta!»” (Pr 9:1-4, TILC). Basterebbe ciò per capire che siamo di fronte ad un testo poetico in cui viene esaltata la sapienza biblica. Ogni dubbio viene comunque spazzato via quando subito dopo compare la sua controparte, la follia: “La Follia è una donna irrequieta, sciocca e ignorante. Essa siede sulla porta della sua casa, su un trono, nella parte alta della città, per invitare i passanti che vanno dritti per la loro strada” (Pr 9:13-15, TILC). E così abbiamo due donne che impersonificano una la Sapienza e l’altra la Follia. Se la sapienza fosse lo Yeshùa preumano, chi sarebbe la Follia? E, quando la sapienza dice: “Io, la sapienza, risiedo con l’accortezza” (Pr 8:12, nuova TNM), che sarebbe “l’accortezza” che sta insieme alla sapienza? E, ancora, quando la sapienza dice: “Mediante me i re continuano a regnare” (Pr 8:15, nuova TNM), dobbiamo intendere che i re continuano a regnare mediante “Gesù” preumano? Se queste domande appaiono sciocche è perché è sciocca l’identicazione della sapienza con “Gesù” preumano. “Rispondi allo stupido secondo la sua stoltezza, perché non creda di essere saggio”. – Pr 26:5, nuova TNM.
Pur volendo sforzarsi di prendere seriamente la questione, non si può leggere letteralmente Pr 8:22,23: “Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin d'allora. Dall'eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra” (NR). Neppure possiamo prendere alla lettera Pr 8:30: “Allora io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in ogni istante” (NR). Siamo infatti in presenza di un testo poetico. Oltretutto, perché mai il “Gesù” preumano dovrebbe parlare in prima persona e in poesia nelle vesti di una donna, e proprio nel libro di Proverbi?
I Testimoni di Geova, che collegano Gv 1:1 alla sapienza di Pr 8, argomentano che in Pr 8:22 la sapienza non può essere semplicemente quella di Dio perché Dio è sapiente da sempre. Questo è un piccolo ragionamento basato su una lettura letterale. In Pr 8:24 la sapienza dice nel testo ebraico: “Fui partorita [חֹולָלְתִּי (kholàlti) ]”. Se si legge alla lettera, va letto tutto alla lettera. Al v. 22 sempre la sapienza dice: “Yhvh mi creò [קָנָנִי (qananì)]”. In Gn 4:1, Eva dice dopo aver concepito e partorito Caino: “Ho acquistato un figlio [קָנִיתִי אִישׁ (qanìti ish)]” (TILC), il cui senso è “ho avuto/partorito”. Si tratta dello stesso verbo qanàh (קָנָה) di Pr 8:22, secondo cui Yhvh ebbe la sapienza partorendola. Giacchè Yhvh non partorisce, occorre tradurre “mi creò” e non “mi ebbe / mi partorì”. Creata o partorita? È ovvio, anche qui non si possono fare distinzioni in un testo poetico e allegorico. E il “Gesù” preumano fu creato o fu partorito all’inizio dei tempi? Nessuna delle due. Tutta la storia di Yeshùa è così riassunta da Paolo: “Colui che è stato manifestato in carne, è stato giustificato nello Spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato fra le nazioni, è stato creduto nel mondo, è stato elevato in gloria” (1Tm 3:16, NR). La storia di Yeshùa inizia da uomo e solo dopo la sua morte viene assunto da Dio in cielo. Il biblista Claudio E. Gherardi fa notare: «Niente viene detto di un’esistenza preumana»; poi spiega: «Paolo qui prende in considerazione la sua esistenza terrena, l’unica che ebbe prima di ascendere al cielo (cfr. Gv 1:14 dove il verbo ghinomai significa "iniziare ad esistere, apparire nella storia"; la sua forma eghèneto è espressa all'indicativo aoristo che indica un’azione puntuale colta nel momento in cui si manifesta. La traduzione della frase potrebbe essere: "D'un tratto la parola appare sul palcoscenico della storia umana")».
Pare perfino assurdo dover argomentare su Pr 8. È del tutto evidente la sapienza lì lodata non ha alcunché a che fare con l’uomo Yeshùa di Nazaret, se non per il fatto che egli possedeva.
Per trovare un collegamento tra la “parola” e la “sapienza” occorre cercarlo nell’apocrifo Sapienza, scritto in greco: “Dio dei padri e Signore della misericordia, che tutto hai creato con la tua parola [ἐν λόγῳ (en lògo) b], e con la tua sapienza [σοφίᾳ (sofìa)] hai formato l'uomo”. – Sapienza 9:1,2, nuova CEI.
Il prologo di Giovanni non inizia dicendo: ‘In principio era la sapienza e la sapienza era presso Dio, e la sapienza era Dio’.
La sapienza – in ebraico khochmàh (חָכְמָה) e il greco sofìa (σοφία) – era per gli ebrei l’abilità di una persona in un campo specifico. Così, gli ebrei parlavano di un muratore saggio o di un carpentiere saggio. “Saggio” era anche chi sapeva dirigere bene la propria vita e i propri affari in modo che tutto potesse procedere magnificamente. Come si nota, questo è un concetto pratico. Per gli ebrei, che non amavano le astrazioni, tutto era pratico. Il concetto biblico di khokmàh – “sapienza” – era dunque un concetto concreto che nulla ha a che vedere con la filosofia e che va ben al di là della conoscenza e dell’intendimento mentali.
Che Yeshùa fosse una persona sapiente è indubbio. Le persone ne erano stupefatte, tanto che mentre un sabato insegnava in una sinagoga “si stupivano e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? Che sapienza [σοφία (sofìa)] è questa che gli è data?»” (Mr 6:2, NR). Quando una volta Yeshùa “salì al tempio e si mise a insegnare”, “i Giudei si meravigliavano e dicevano: «Come mai conosce così bene le Scritture senza aver fatto studi?». Gesù rispose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato»” (Gv 7:14-16, NR). Non stupisce quindi che Paolo affermi che Yeshùa “da Dio è stato fatto per noi sapienza [σοφία (sofìa)]”. - 1Cor 1:30, ND.
Da qui a sostenere che la sapienza personifica nel libro biblico di Proverbi sia Yeshùa preumano ce ne corre.
In Pr 8 la khochmàh, la “sapienza”, che in ebraico è femminile come nel greco sofìa e in italiano, viene personificata in una donna che “sta in piedi in cima ai luoghi più elevati, sulla strada, agli incroci” e “grida presso le porte della città, all'ingresso, negli androni” (vv. 2 e 3), chimamdo a sé le persone e invitandole ad imparare da lei (vv. 4-10), “perché buona è la sapienza [כִּי־טֹובָה חָכְמָה (ki-tovàh khochmàh); sofìa (σοφία), nella LXX], vale più delle perle e tutte le preziosità non la eguagiano” (v 11, traduzione diretta dall’ebraico). Al capitolo successivo, in Pr 9, la sapienza continua ad agire
come una donna assennata e ospitale: “La Sapienza ha costruito la sua casa … Ha ucciso animali, ha procurato il vino, ha già preparato la sua tavola. Ha mandato le sue serve a fare gli inviti dai punti più alti della città. Esse gridano: «Venite, gente inesperta!»” (Pr 9:1-4, TILC). Basterebbe ciò per capire che siamo di fronte ad un testo poetico in cui viene esaltata la sapienza biblica. Ogni dubbio viene comunque spazzato via quando subito dopo compare la sua controparte, la follia: “La Follia è una donna irrequieta, sciocca e ignorante. Essa siede sulla porta della sua casa, su un trono, nella parte alta della città, per invitare i passanti che vanno dritti per la loro strada” (Pr 9:13-15, TILC). E così abbiamo due donne che impersonificano una la Sapienza e l’altra la Follia. Se la sapienza fosse lo Yeshùa preumano, chi sarebbe la Follia? E, quando la sapienza dice: “Io, la sapienza, risiedo con l’accortezza” (Pr 8:12, nuova TNM), che sarebbe “l’accortezza” che sta insieme alla sapienza? E, ancora, quando la sapienza dice: “Mediante me i re continuano a regnare” (Pr 8:15, nuova TNM), dobbiamo intendere che i re continuano a regnare mediante “Gesù” preumano? Se queste domande appaiono sciocche è perché è sciocca l’identicazione della sapienza con “Gesù” preumano. “Rispondi allo stupido secondo la sua stoltezza, perché non creda di essere saggio”. – Pr 26:5, nuova TNM.
Pur volendo sforzarsi di prendere seriamente la questione, non si può leggere letteralmente Pr 8:22,23: “Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin d'allora. Dall'eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra” (NR). Neppure possiamo prendere alla lettera Pr 8:30: “Allora io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in ogni istante” (NR). Siamo infatti in presenza di un testo poetico. Oltretutto, perché mai il “Gesù” preumano dovrebbe parlare in prima persona e in poesia nelle vesti di una donna, e proprio nel libro di Proverbi?
I Testimoni di Geova, che collegano Gv 1:1 alla sapienza di Pr 8, argomentano che in Pr 8:22 la sapienza non può essere semplicemente quella di Dio perché Dio è sapiente da sempre. Questo è un piccolo ragionamento basato su una lettura letterale. In Pr 8:24 la sapienza dice nel testo ebraico: “Fui partorita [חֹולָלְתִּי (kholàlti) ]”. Se si legge alla lettera, va letto tutto alla lettera. Al v. 22 sempre la sapienza dice: “Yhvh mi creò [קָנָנִי (qananì)]”. In Gn 4:1, Eva dice dopo aver concepito e partorito Caino: “Ho acquistato un figlio [קָנִיתִי אִישׁ (qanìti ish)]” (TILC), il cui senso è “ho avuto/partorito”. Si tratta dello stesso verbo qanàh (קָנָה) di Pr 8:22, secondo cui Yhvh ebbe la sapienza partorendola. Giacchè Yhvh non partorisce, occorre tradurre “mi creò” e non “mi ebbe / mi partorì”. Creata o partorita? È ovvio, anche qui non si possono fare distinzioni in un testo poetico e allegorico. E il “Gesù” preumano fu creato o fu partorito all’inizio dei tempi? Nessuna delle due. Tutta la storia di Yeshùa è così riassunta da Paolo: “Colui che è stato manifestato in carne, è stato giustificato nello Spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato fra le nazioni, è stato creduto nel mondo, è stato elevato in gloria” (1Tm 3:16, NR). La storia di Yeshùa inizia da uomo e solo dopo la sua morte viene assunto da Dio in cielo. Il biblista Claudio E. Gherardi fa notare: «Niente viene detto di un’esistenza preumana»; poi spiega: «Paolo qui prende in considerazione la sua esistenza terrena, l’unica che ebbe prima di ascendere al cielo (cfr. Gv 1:14 dove il verbo ghinomai significa "iniziare ad esistere, apparire nella storia"; la sua forma eghèneto è espressa all'indicativo aoristo che indica un’azione puntuale colta nel momento in cui si manifesta. La traduzione della frase potrebbe essere: "D'un tratto la parola appare sul palcoscenico della storia umana")».
Pare perfino assurdo dover argomentare su Pr 8. È del tutto evidente la sapienza lì lodata non ha alcunché a che fare con l’uomo Yeshùa di Nazaret, se non per il fatto che egli possedeva.
Per trovare un collegamento tra la “parola” e la “sapienza” occorre cercarlo nell’apocrifo Sapienza, scritto in greco: “Dio dei padri e Signore della misericordia, che tutto hai creato con la tua parola [ἐν λόγῳ (en lògo) b], e con la tua sapienza [σοφίᾳ (sofìa)] hai formato l'uomo”. – Sapienza 9:1,2, nuova CEI.
Il prologo di Giovanni non inizia dicendo: ‘In principio era la sapienza e la sapienza era presso Dio, e la sapienza era Dio’.
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Re: Romani 11, 36
Appunto, qui si parla di "dottrina" che viene da "colui che mi ha mandato" (Gv 7:14-16).Gianni ha scritto: ↑giovedì 8 giugno 2023, 2:18
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Che Yeshùa fosse una persona sapiente è indubbio. Le persone ne erano stupefatte, tanto che mentre un sabato insegnava in una sinagoga “si stupivano e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? Che sapienza [σοφία (sofìa)] è questa che gli è data?»” (Mr 6:2, NR). Quando una volta Yeshùa “salì al tempio e si mise a insegnare”, “i Giudei si meravigliavano e dicevano: «Come mai conosce così bene le Scritture senza aver fatto studi?». Gesù rispose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato»” (Gv 7:14-16, NR). Non stupisce quindi che Paolo affermi che Yeshùa “da Dio è stato fatto per noi sapienza [σοφία (sofìa)]”. - 1Cor 1:30, ND.
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E : "da Dio è stato fatto per noi sapienza [σοφία (sofìa)]”. - 1Cor 1:30, ND.
Caro Gianni, sia qui che nel prologo giovanneo (o altrove) non credo si possa dire che la filosofia non c'entri. Diciamo che nulla rimane astratto, ma appunto perchè si ha concretezza, è in questo senso che si parla di "incarnazione" e non che un uomo esiste prima di nascere. Nessuna "incarnazione" letterale, penso io, ma si deve capire appunto in che senso. L'analisi letterale va bene, si parte da qui ma non finisce qui.
Io qui ci vedo un insegnamento "maestro/discepolo" come quando Paolo chiama "figlio nella fede Timoteo", un discepolo figlio di donna ebrea credente e padre greco (Atti 16:1). Timoteo aveva un incarico, doveva testimoniare che Gesù era il Cristo, era chiamato collaboratore, custode "del deposito". Secondo una nota in calce alla Seconda Lettera a Timoteo, cap. 4, verso 22 nella Bibbia di re Giacomo, Timoteo era stato costituito vescovo di Efeso.
22 The Lord Iesus Christ bee with thy spirit. Grace be with you. Amen. [The second Epistle vnto Timotheus, ordeined the first Bishop of the Church of the Ephesians, was written from Rome, when Paul was brought before Nero the second time.]
22 Il Signore Gesù Cristo sia con il tuo spirito. La grazia sia con te. Amen. [La seconda Lettera a Timoteo, ordinato primo Vescovo della Chiesa degli Efesini, fu scritta da Roma, quando Paolo fu portato davanti a Nerone per la seconda volta.]
https://www.kingjamesbibleonline.org/2- ... -1611-KJV/
Questo per dire che vi era un insegnamento di una dottrina da maestro a discepolo così come avveniva tra gli ebrei e in altri ambienti. Senza un insegnamento di un maestro quella disciplina non poteva essere chiara/insegnata. Ora qui non si parla di disciplina ma di "dottrina che viene dall'alto". Il maestro era Yeshùa, egli fece discepoli e i discepoli a loro volta facevano discepoli. Io ci leggo questo, non so se sbaglio. Quindi non basta il senso letterale (penso io).
Ora che ci siano poi state le tutte le problematiche del caso come sviamenti letterari, sviamenti dottrinali ecc.. ci può stare, anzi è così perchè scritto dove si parla di apostasia. Ma credo si intenda l'allontanamento dall'insegnamento originario.
Per me contano i documenti scritti perchè li possa verificare. "Ora i bereani .. accolsero il messaggio con grande entusiasmo e esaminarono ogni giorno le Scritture per vedere se questi insegnamenti erano veri". Atti 17:11 BSB
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Re: Romani 11, 36
Caro Naza, Giovanni non parla di incarnazione ma di “farsi carne”. L’incarnazione è sostenuta dai trinitari.
Yeshùa "da Dio è stato fatto per noi sapienza [σοφία (sofìa)]” (1Cor 1:30, ND). Abbiamo qui lo stesso verbo γίνομαι usato in Gv 1:14, che indica il sorgere, l’apparire nella storia (era usato anche nel teatro per dire “arrivare sul palcoscenico”). Nulla a che fare con l’incarnazione.
Quanto alla σοφία, la sapienza. Questa è quella biblica, non quella della filosofia greca.
Yeshùa "da Dio è stato fatto per noi sapienza [σοφία (sofìa)]” (1Cor 1:30, ND). Abbiamo qui lo stesso verbo γίνομαι usato in Gv 1:14, che indica il sorgere, l’apparire nella storia (era usato anche nel teatro per dire “arrivare sul palcoscenico”). Nulla a che fare con l’incarnazione.
Quanto alla σοφία, la sapienza. Questa è quella biblica, non quella della filosofia greca.
Re: Romani 11, 36
Io interpreto il "farsi carne " della Parola in Yeshua come quel processo attraverso il quale Yeshua è riuscito a divenire Immagine del Creatore, cioè avere le Sue qualità e quindi ricevere in sé tutta la Luce, la Sapienza, la Parola ( che a questo punto considero sinonimi).
Non considero la Parola una persona, come nemmeno lo penso del Creatore.
I discepoli di Yeshua hanno potuto avere esperienza del Creatore tramite Yeshua proprio grazie al processo di rivelazione del Creatore in lui.
È da chiedersi se tale processo riguardi solo Yeshua o anche tutti gli uomini.
Non considero la Parola una persona, come nemmeno lo penso del Creatore.
I discepoli di Yeshua hanno potuto avere esperienza del Creatore tramite Yeshua proprio grazie al processo di rivelazione del Creatore in lui.
È da chiedersi se tale processo riguardi solo Yeshua o anche tutti gli uomini.
- Maria Grazia Lazzara
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Re: Romani 11, 36
Buon giorno a tutti ,
Gianni parla di strani salti e agganci che portano a un Jeshùa preumano , subito mi è venuto in mente oltre alla sapienza che viene vista e applicata a Jeshùa si va oltre identificando l' arcangelo Michele con Jeshùa e l Angelo cheproteggeva Israele lungo il cammino dopo la liberazione dallEgitto .
Ma tornando alle due parole logòs e Sofìa già si capisce che sono due termini diversi, ma mi è stato spiegato che la sapienza è la conoscenza messa in pratica , che ne pensate ? E comunque è indubbiamente una capacità che se operativa produce eccellenti risultati , il contrario è la stupidità biblica Proverbi 13:20 .
Gianni parla di strani salti e agganci che portano a un Jeshùa preumano , subito mi è venuto in mente oltre alla sapienza che viene vista e applicata a Jeshùa si va oltre identificando l' arcangelo Michele con Jeshùa e l Angelo cheproteggeva Israele lungo il cammino dopo la liberazione dallEgitto .
Ma tornando alle due parole logòs e Sofìa già si capisce che sono due termini diversi, ma mi è stato spiegato che la sapienza è la conoscenza messa in pratica , che ne pensate ? E comunque è indubbiamente una capacità che se operativa produce eccellenti risultati , il contrario è la stupidità biblica Proverbi 13:20 .
Re: Romani 11, 36
Gianni, non sono d'accordo.La storia di Yeshùa inizia da uomo e solo dopo la sua morte viene assunto da Dio in cielo.
Poichè anche te identifichi Yeshùa, come Il Figlio di Dio,
ecco che questa tua convinzione da me quotata, è in forte contrasto con Ebrei 1, 1-3, secondo Il Quale, mediante IL Figlio sono state create tutte le cose, "in armonia con Gv. 1,1-3"
e sempre LUI le sostiene, e ciò è implicito fin dall'inizio della creazione,
così come recita pure Col. 1, 13-17, che l'agiografo ispirato scrive che LUI IL Figlio E' prima di tutte le cose.....
Saluti
Re: Romani 11, 36
Io credo che sia utile non confondere Gesù con il Cristo, che a mio avviso sono due cose ben separate. Gesù sarebbe l'incarnazione umana del Cristo, che viene “dal cielo”, cioè da Dio. Non Gesù, viene dal cielo, ma l'investitura divina, se così possiamo chiamarla. A me pare che in quest'ottica, tutti i versetti che da sempre causano diatribe infinite tra trinitari, binitari e detrattori della divinità di Gesù, siano perfettamente spiegabili.
Occorre anche ricordare che Gesù parlava in parabole e a chi avesse “orecchie per intendere”, ossia in modo esoterico (nel senso proprio dell'aggettivo), quindi credo sia importante cercare di comprendere il significato profondo delle sue parole.
Occorre anche ricordare che Gesù parlava in parabole e a chi avesse “orecchie per intendere”, ossia in modo esoterico (nel senso proprio dell'aggettivo), quindi credo sia importante cercare di comprendere il significato profondo delle sue parole.
- Gianni
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Re: Romani 11, 36
Luigi, ho una domanda: quando Yeshùa divenne figlio di Dio?
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Re: Romani 11, 36
E come può essere al tempo stesso da e attraverso? Dio è al tempo stesso fonte e strumento della creazione?Il versetto 36 rappresenta una ulteriore esaltazione a Dio.
36ὅτι ἐξ αὐτοῦ καὶ δι’ αὐτοῦ καὶ εἰς αὐτὸν τὰ πάντα·
perché da lui stesso e attraverso di lui e verso [dentro] lui stesso la qualunque cosa!
Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. NR
Re: Romani 11, 36
Il v. 11:34 fa riferimento a Is 40:23 in cui si parla di Yahweh, ma anche a 1Cor 2:16 in cui al posto di "signore" (kyrios) alcuni importanti codici (p46, Sinaitico, Alessandrino) e molti Padri conoscono la lezione "Christù" (Christòs al genitivo). Interessante.animasalvata ha scritto: ↑giovedì 8 giugno 2023, 16:24E come può essere al tempo stesso da e attraverso? Dio è al tempo stesso fonte e strumento della creazione?Il versetto 36 rappresenta una ulteriore esaltazione a Dio.
36ὅτι ἐξ αὐτοῦ καὶ δι’ αὐτοῦ καὶ εἰς αὐτὸν τὰ πάντα·
perché da lui stesso e attraverso di lui e verso [dentro] lui stesso la qualunque cosa!
Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. NR
PS. Il v. 36 “Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose” si adatta più al Cristo che non a Dio, come in Col 1:16: “poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”.